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Nella rete


Crescono “on life”, in un intreccio costante tra reale e virtuale, profondamente diversi dai propri genitori, e giungono alle soglie dell’adolescenza carichi di troppe aspettative. Durante i vari lockdown hanno scelto la via della responsabilità invece della ribellione, ma adesso vogliono tornare a scuola, fare sport e uscire: ritratto della generazione degli anni zero


Intervista a Matteo Lancini

• Presidente della Fondazione Minotauro di Milano

• Docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca

di Luisa Castellini


Gli adolescenti sono stati dimenticati?

A fronte di molte attenzioni per i bambini a livello culturale - pensiamo alle esperienze di Montessori, Munari, Don Milani - non si può dire lo stesso dell’adolescenza. Ci sono poche iniziative come il piano adolescenza dell’Emilia Romagna. I ragazzi si trovano in un’età di mezzo: non votano, scompaiono dal dibattito pubblico o sono al centro della cronaca. Emblematico il primo lockdown, quando è stato riconosciuto ai cani il diritto a uscire ma non a bambini e ragazzi e la minore attenzione alla scuola rispetto al tema del lavoro.


Quali fasce di età hanno più risentito delle chiusure?

Tutti hanno subito ferite e ne porteranno le cicatrici: in particolare i bambini di 6-9 anni che non sono ancora autonomi e ricevono sempre prima gli schermi. Nei vari lockdown gli adolescenti se la sono cavata: non sono stati trasgressivi e si sono adeguati alle norme. I ragazzi crescono in una famiglia più affettiva, sono più psicologizzati e sintonizzati sul mondo degli adulti e quindi si sono sentiti responsabilizzati. Ma l’autorevolezza degli adulti è venuta meno. A lungo il dibattito si è concentrato sulla necessità di limitare l’uso del cellulare: col lockdown si sono consegnati tablet e pc invitando i figli a stare davanti allo schermo 5 o più ore al giorno. Adesso è essenziale riaprire le scuole. I ragazzi si sono adattati ma sono stufi e vogliono tornare a uscire, a vedersi, a stare insieme e sperimentarsi.


Cosa differenzia gli adolescenti di oggi?

Un tempo si cresceva attraverso la trasgressione delle regole scontrandosi con una famiglia dominata dalla figura paterna e una società sessuofobica. Oggi viviamo in una società materna e virtuale. Ci si separa prima - spesso già al nido - ma il contatto mentale tra genitori e figli è più profondo. Il concetto di bambino come una tabula rasa su cui scolpire insegnamenti e disciplina è scomparso. I figli arrivano più tardi, sono programmati e più ascoltati, ma crescono in una società dove il marketing li segue ed entrano sempre prima in contatto con la tecnologia.


L’adolescenza non è più l’età della trasgressione?

È diventata l’età della delusione: persino l’uso delle droghe leggere non è più in senso oppositivo, ma è vissuto come un anestetico. Il problema è che si arriva all’adolescenza con una dote di ideali troppo elevata. Il conflitto è tra io e io ideale, per cui si vive tra due estremi: la sovraesposizione - pensiamo ai social - e il ritiro dalla società che osserviamo con gli hikikomori. Entrambe sono reazioni al senso di inadeguatezza rispetto agli ideali percepiti.


Gli adulti di oggi erano adolescenti diversi?

L’adulto maschio è cresciuto con due grandi interessi: il motorino e il sesso, argomenti superati dai ragazzi di oggi. Gli adulti pongono ancora il sesso al centro. Gli adolescenti sono più narcisisti, basti pensare all’importanza di like, interazioni e al fenomeno del sexting: è importante essere presenti nella mente dell’altro.


Spesso i genitori indicano internet come il problema, è così?

Il problema è che sta avvenendo una adultizzazione dell’infanzia e una infantilizzazione dell’adolescenza. Affermare che internet rovini i ragazzi è scorretto. Oggi si cresce on life: la vita è reale e virtuale, è sempre mischiata. Prima di internet era già venuta meno la comunità educante. Fino a pochi anni fa la socializzazione avveniva fuori dalla famiglia. Il corpo era affidato alla società lasciando ai bambini spazi di autonomia e autogestione. Si tornava da scuola da soli, si stava in cortile, ai giardini, ci si poteva graffiare le ginocchia. A 13 anni si usciva. Le piazze virtuali hanno sostituito quello che avveniva dai 7 ai 12 anni nelle strade, ma non si è trattata di una rivoluzione dal basso, non sono stati i ragazzi a inventare internet. Gli adulti l’hanno sfruttato pensando che il mondo esterno fosse pericolosissimo.


Come si potrebbe correggere la rotta?

Gli adulti devono essere al servizio della complessità. Il corpo deve essere riconsegnato al mondo. Il Covid ha condotto a guardare gli altri col timore del contagio. In parallelo è aumentato il fascino del sesso a distanza sostenuto dalle innovazioni tecnologiche, dai visori alla realtà virtuale sempre più immersiva: si va realizzando la massima prevenzione possibile! Il timore per le esperienze dei figli c’è sempre stato ma ora è esasperato. Gli adolescenti hanno bisogno di sperimentarsi al di fuori degli spazi gestiti dagli adulti (scuola, sport e scout) altrimenti il mondo virtuale resta l’unico senza ingerenze. La didattica a distanza non deve essere quella delle interrogazioni con gli alunni bendati ma può essere sperimentazione di nuovi modelli di apprendimento integrati. La scuola potrebbe essere aperta 7/7, sempre connessa e integrata, a patto che sia accessibile a tutti.


 

COSA SERVE AI NOSTRI RAGAZZI


Perché gli adolescenti di oggi sono così diversi da quelli di ieri?

E, soprattutto, cosa serve ai nostri ragazzi?


Il libro di Matteo Lancini risponde a queste e a molte altre domande.

 

Responsabilità

Oggi tutti usano internet e il mondo vive on line. Se immortaliamo ogni “impresa” dei nostri bambini e la condividiamo sui social, se regaliamo sempre prima cellulare e tablet, come possiamo accusarli, una volta cresciuti, di esagerare? Non sono stati i ragazzi a inventare i videogiochi o internet. Serve una maggiore padronanza nell’uso della tecnologia da parte degli adulti, che deve essere inserita in una relazione educativa.

 

Fonte: rivista Pharma Magazine Febbraio 2021

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